Autunno IN Bacco&Minerva: Garage Eventi - Via Vittorio Emanuele , 13 - Conegliano.

Artisti: Vico Calabrò, Lino Dinetto , Bruno Donadel, Oyrta, Walter Davanzo, Giorgio Celiberti , Gina Roma , Ottorino Stefani, Renato Varese

Data

dal 27 Ottobre - 16 Dicembre 2012

Foto Opere

Foto Inaugurazione

Foto Allestimento

Brochure e Locandina

Testi Critici

Indirizzo e Mappa

Via Vittorio Emanuele , 13 - Conegliano

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La Mostra - Biografie Artisti

Vico Calabrò
Nato ad Agordo (Belluno) nel 1938. Usa tutte le tecniche dell'espressione figurativa. L'attività di disegnatore lo ha impegnato ad illustrare una trentina di libri di diversi autori, oltre che a collaborare con varie riviste e periodici. In campo incisorio si è formato nella stamperia di Giuliano Busato a Vicenza, dove Vico ha prodotto un migliaio di lastre per litografie ad acquaforte, curando la tiratura di cartelle per vari editori. Particolarmente ampia la produzione di argomento veneto: storie e leggende di un centinaio di località. Per sedici anni ha svolto attività di coordinatore artistico dei "murales" di Cibiana di Cadore. In virtù della lunga esperienza nella pittura murale, specialmente ad affresco, è chiamato spesso per corsi e lezioni al Centro Europeo dell'Isola di San Sorvolo a Venezia e più recentemente in Polonia e in Giappone. Ha fatto parte della Commissione  Italo-giapponese per lo studio degli affreschi di Giotto a Padova (Cappella degli Scrovegni) e ad Assisi (Basilica di San Francesco).

Lino Dinetto
Nato ad Este (PD) nel 1927, ancora giovanissimo si reca a Venezia per dedicarsi a studi di genere artistico. A 15 anni si sposta a Milano dove fa tesoro degli insegnamenti ricevuti da Sironi e Carrà. Accanto a questi maestri, approfondisce i problemi del futurismo e della metafisica. Dal 1955 al 1969 dirige le sezioni di Pittura e Disegno presso l’Istituto de Bellas Artes di Montevideo. Dopo aver maturato le dovute riflessioni sul cubismo e sul costruttivismo di Torres Garcia, Dinetto si apre verso l’informale. Nel 1960 torna in Italia e riprende la pittura murale e su vetro. Sono del 1963 le “Storie monastiche” affrescate nel chiostro di S.Maria in Campis a Foligno; del 1964 le vetrate per l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore; seguono affreschi e vetrate a Monza, a Mantova, ad Este e a Roma. Verso la fine degli anni 70 appaiono la figura femminile, il paesaggio veneto e toscano, le nature morte. Nel 1994 riceve l’incarico di decorare una delle cappelle più importanti della Basilica di Sant’Antonio a Padova: quella dedicata a Santa Chiara. Lavoro che lo vede impegnato per quasi due anni e che lo conferma una volta di più uno degli artisti più significativi del nostro tempo.

Bruno Donadel
Nato a Farra di Soligo,  in provincia di Treviso, nel 1929. La natura, generosa e compiacente per le sue creature, è per Bruno Donadel la madre, la sposa, la figlia. Di essa si nutre costantemente dei suoi umori e per essa si prodiga. Le deve gratitudine per averlo riscattato, in giovane età, dal duro lavoro dei campi  a favore della meritata e congeniale  attività di artista. Donadel, figlio di contadini, è il "pittore contadino" che ha saputo interpretare con la poesia del cuore la semplicità del suo mondo rurale. Sempre fedele alle sue umili origini e devoto alla sua terra rappresenta sulla tavolozza scene bucoliche dal forte carattere espressionistico. Vive immerso nella campagna a contatto della madre terra; tra i campi, in un casolare adibito a studio. Una grande magnolia si espande con vigore a ridosso della casa; ed altre e altre piante verdeggianti caratterizzano l'ambiente nel quale interagisce.

 Oyrta
Nata a Belluno nel 1961, vive e lavora a Mel (Belluno). Dà prova, fin da bambina, di  prediligere il disegno e la pittura per il suo innato talento. Compie la sua educazione artistica diplomandosi al Liceo Artistico Statale di Treviso. Dedica la  sua attività alla sperimentazione di nuove tecniche lavorando sul “disaccumulo” ovvero la “defogliazione”: la gestualità di sottrarre dalla sovrapposizione  una parte della materia, a scaglie, con l’intento di  liberare, dall’interno,  il colore nascosto. La sua storia ha origine dallo studio della pittura antica, prediligendo la statuaria antica, in particolare quella michelangiolesca e canoviana. Il suo stile è decisamente espressionista con una tecnica maturata lontano dagli ambiente scolastici. I corpi nudi, quasi sempre rappresentati, sono perfettamente integri, ma si tratta di un’integrità momentanea, illusoria. Il tempo degrada la materia. E’ per questo che quei corpi vengono scarnificati con il ferro strappando via il colore a scaglie. E’  la metafora della morte, della sofferenza, che però fanno scaturire da dentro il corpo colori e luce, energia e anima che sono  eterni.

 Walter Davanzo

nato a Treviso nel 1952. Dopo la maturità tecnica si iscrive al DAMS di Bologna; si interessa soprattutto di espressionismo tedesco, sia di pittura che di cinema, all’inizio molte sono le sue personali di fotografia, poi solo pittura. Dopo una prima fase astratto informale, indirizza la sua pittura con forti componenti gestuali ad una figuratività libera ed ingenua fatta di immagini oniriche e grottesche tra sogno e realtà con riferimenti all’infanzia dando vita a delle figure di impianto fauve-espressionista. Figure con colori molto forti, gioia del vivere dell’uomo ma anche la tragedia nel divenire.

 

Giorgio Celiberti 

Nato a Udine nel 1929. E’ uno degli ultimi artisti viventi ad aver partecipato alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra, quella curata dal critico Rodolfo Pallucchini.

Inizia a dipingere giovanissimo, imponendosi subito per la sua originalità di linguaggio tanto che, appena diciannovenne, partecipa alla Biennale di Venezia del 1948. Si iscrive al Liceo Artistico di Venezia e poi frequenta lo studio di Emilio Vedova. Grande amico di Tancredi con il quale condivideva la ricerca pittorica di impronta informale in opposizione all'accademismo

 Nei primi anni Cinquanta si trasferisce a Parigi dove  entra in contatto con i maggiori rappresentanti della cultura francese; vince poi una borsa di studio a Bruxelles che gli permette di approfondire le sue ricerche sull'Avanguardia. Dopo questo periodo di studio, parte per Londra per poi spostarsi negli Stati Uniti, dove soggiorna in Messico, a Cuba, in Venezuela; da queste esplorazioni ne deriverà quel repertorio di segni che poi rielaborerà negli anni successivi. Durante questo periodo di viaggi continua comunque ininterrottamente la sua attività espositiva nelle gallerie italiane.

 Nel 1965 l’artista riceve un forte impatto emotivo dalla visita al campo di concentramento di Terezin, vicino a Praga, dove migliaia di bambini ebrei prima di essere trucidati avevano lasciato, testimonianze toccanti della loro tragedia. Da quella esperienza realizza il ciclo che lo rende noto al grande pubblico: quello dei “Lager”, costituito da tele preziose per impasti e per cromie, tanto spesse e materiche da proporsi già in forma di bassorilievi. A questi seguono, negli anni Settanta, i “Muri antropomorfici”, opere in cui l' archeologia entra nella pittura in modo diretto e in cui il tentativo dell'artista è quello di placare l'angoscia per la guerra, per l'ingiustizia sull'uomo, per i pericoli della tecnologia. Da qui derivano i lembi di muri visti nelle celle dei campi di concentramento, in quelle tracce, unica memoria di esistenze annullate.

 

A partire dai primi anni Sessanta Celiberti si  dedica anche alla scultura, fino a produrre negli ultimi 15 anni grandi sculture in bronzo, acciaio e pietra. La sua curiosità creativa lo ha portato a dedicare la sua attività artistica anche alla grafica originale, con una produzione molto qualificata di incisioni in bianco e nero e di serigrafie astratte, anche a colori, molto spesse e materiche.

 Ha esposto in tutto il mondo: Strasburgo, Bruxelles, Salisburgo, Milano, Ferrara, Londra, Torino, Düsseldorf, Roma, Madrid, Parigi, Genova, Venezia, Bologna, Trieste, Livorno e Chicago. Dal 1989 al1991 ha realizzato un grande affresco presso la Sala Congressi dell'Hotel Kawakyu Shirahama, in Giappone. Nel 1997 è la volta di Villa Manin a Passariano, nel 1998 espone una personale alla Galleria Angel Orentsanz di New York, al Museo di St. Paul de Vence e al Museo di Zagabria. Nei due anni successivi si svolgono sue mostre a Umago, Lubiana e Monaco di Baviera. Nel 2003 Celiberti vince il Premio Sulmona e nel 2004 la sua città natale, Udine, gli dedica una ricca retrospettiva ospitata al Teatro “Giovanni da Udine”.

 

 Gina Roma

nata a Vazzola il 1914 muore a Fratta nel 2005  è stata un’importante pittrice italiana. Si afferma sulla scena internazionale fin dagli anni cinquanta, prima con la partecipazione a quattro edizioni della Biennale di Venezia e poi a tre della Quadriennale di Roma. Nel 1961 espone alla Biennale di

San PaoloBrasile, prima donna ad esservi invitata. Da allora ha esposto in numerosissime gallerie in Italia e all'estero. Dopo gli inizi figurativi, si dedica all'astratto, realizzando quadri di grande forza espressiva, legati peraltro sempre ai riferimenti naturalistici. La sua arte è sempre tesa alla ricerca di nuove soluzioni tecniche e formali: Gina Roma attraversa con la sua pittura vari periodi, che si possono ricondurre ai cambiamenti propri del Novecento, secolo pieno di contrasti e novità; è il segno evidente della somma degli impegni civili, sociali e culturali che hanno animato la lunga vita dell'artista, rendendola un pilastro portante della pittura veneta e italiana, nonché la narratrice di eventi storici e sociali che hanno cambiato il nostro Paese.

 

 

Ottorino Stefani

nato a Volpago del Montello, il 1928.

Dal 1949 al 1953, circa, Stefani frequenta sia l’Accademia di Belle Arti, sia la Facoltà di Architettura di Venezia.  . Presso la Facoltà di Architettura la sensibilità del giovane artista è vivamente impressionata dall’apertura interdisciplinare  di Bruno Zevi e di Carlo Scarpa.    Nel 1978 si laurea in lettere con una tesi interdisciplinare sul Canova.

Le sue mostre hanno toccato molte località italiane, e diversi paesi esteri.Nel 2006 Stefani pubblica Arte triveneta dal Barocco alle ultime ricerche del Duemila.

I  suoi quadri ritraggono, spesso  il paesaggio veneto ed in particolare i colli asolani come se di fronte a loro si aprisse un velo: lo stesso velo di Giovanni Bellini che scostava delicatamente per mostrare, sullo sfondo delle sue celestiali Madonne, il profumo del paesaggio veneto.

 

Renato Varese

nato a Conegliano (TV) nel 1926, dagli anni sessanta è presente con sue personali in Italia ed all’estero. Nel 1973  espone all’accademia di Romania in Roma e successivamente in importanti manifestazioni europee, è premiato alla Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea a Parigi è

a Londra e a Marsiglia. Partecipa all’ART 12/81 a Basilea e nel 1982 è alla la Biennale internazionale della Grafica . Viene chiamato ad una  personale a New York presso la fondazione della General Electric  ed in numerose altre città  Italiane ed Estere. Attivo anche nel settore della ceramica e nell’ambito della scultura.

Nei dipinti di Varese  l'interpretazione del soggetto è resa agevole dalla quantità di simboli e riferimenti che gremiscono la composizione. I simboli vogliono essere quelli del tempo presente e dunque dell'amarezza, due aspetti del pessimismo che sempre si ritrovano insieme, oggi come allora  nella leopardiana memoria. Il disegno è  asciutto e costantemente lineare ed il colore spesso si illividisce. Ricorda analoghi esiti della pittura figurativa  di espressionismo nordico.