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Remo BrindisiNel ’17 mio padre era sul Carso.Fui concepito nel singhiozzo di una rapida licenza. E nacqui a Roma, nel ‘18, ancora in guerra, in Borgo Vittorio 91, non lontano da San Pietro

Remo Brindisi nasce a Roma il 25 aprile 1918, ottavo di undici figli, da Elisa Rebutti e da Fedele Brindisi, scultore abruzzese originario di Penne. Presto la famiglia si trasferì da Roma a Pescara: qui il padre aprì un nuovo studio e, sincero socialista, venne eletto consigliere comunale. La sua fede politica e la carica pubblica lo resero oggetto di continue minacce da parte dello squadrismo fascista. Nel 1932 la famiglia si stabilì nel vicino comune di Penne, dove Fedele Brindisi ottenne la cattedra di scultura in legno presso il locale Istituto d’Arte. In quella stessa scuola Remo frequentò il corso di ceramica. Nel 1935 il diciassettenne Remo si recò a Roma dove frequentò per breve tempo i corsi di scenografia del Centro Sperimentale e le lezioni alla Scuola Libera di Nudo dell’Accademia di Belle Arti, e ottenne una borsa di studio per l’Istituto Superiore d’Arte per l’Illustrazione del Libro di Urbino.

Una volta diplomato, si trasferì a Firenze dove aprì uno studio in via della Scala: la sua prima mostra personale risale al 1940. Allo scoppio della seconda guerra mondiale venne chiamato sotto le armi: fu destinato al corso di addestramento per allievi ufficiali presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze. Dopo l’armistizio del 1943 rientrò a Firenze e visse una pausa felice ritrovando gli artisti Felice Carena, Ardengo Soffici, Ottone Rosai. Fatto prigioniero dai tedeschi nel 1944, riuscì poi a fuggire insieme all’amico Marcello Mastroianni, anch’egli topografo e compagno d’armi. Si rifugiarono in clandestinità a Venezia fino al giorno della liberazione. In questa città iniziò una collaborazione con il grande gallerista Carlo Cardazzo, che gli assicurò un'intensa attività espositiva, specie presso la Galleria Il Cavallino. Nel 1947 si trasferì a Milano, dove Cardazzo aveva aperto la Galleria Il Naviglio.

Nel clima culturale milanese del dopoguerra, ricco di scontri e incontri, manifesti, sperimentazioni, ricevette stimoli innovatori: nella polemica tra realisti e astrattisti in corso negli anni ’50, Brindisi si schierò aderendo al Gruppo Linea – di breve vita - con Dova, Kodra, Meloni, Paganin, Porzio, Quasimodo, Joppolo, Tullier. Nel 1950, dopo lo scioglimento del gruppo Linea, si accostò al movimento del Realismo. Ma in seguito, una sua mostra antologica al Padiglione d’Arte Contemporanea del Comune di Milano divenne motivo per una polemica sul realismo condotta sulla stampa da Giorgio Kaisserlian e Mario De Micheli, che lo vide contrapposto a Guttuso e che in concreto segnò la sua rottura con il movimento.

Tra il 1956 e il 1961 lo stile dell’artista subì una svolta verso modi espressivi che lui definiva come parte del movimento internazionale della “Nuova Figurazione”: è l’avvio dei cicli storici improntati all’impegno civile, composti da tele di grandi dimensioni, come quelli sulla Via Crucis, sulla Storia del Fascismo e la Resistenza, su Il Processo al cardinale Mindszenty e sull’Abbattimento del mito di Stalin. Cantore epico dei drammi storici del nostro tempo, con questi cicli ha approfondito l’impianto architettonico dell’immagine e in seguito si è volto con maggiore decisione all’informale in senso del tutto strumentale per le esigenze di un espressionismo intenso e dai toni ombrosi. E’ forte il richiamo dell’Europa e dell’America artistica emergente. Brindisi nel corso degli anni ha viaggiato di frequente ed ha risieduto per qualche periododo a New York e a Parigi. Egli ha intrapreso questi viaggi per venire in contatto con i massimi esponenti dell’arte e della cultura, in particolare dell’Esistenzialismo e dell’espressionismo astratto, e per approfondire attraverso questi contatti la sua ricerca su quell’Uomo Nuovo, volitivo e spietato, che si colloca prepotentemente nella società disumanizzata dalla superciviltà delle macchine.

La sua poetica ha avuto due principali registri: da un lato i ricordi bucolici della terra d’Abruzzo con le sue bianche greggi e i solenni pastori, lo splendore orientale di Venezia e la sacralità delle figure femminili, come segno nostalgico di una umanità perduta; dall’altro la struggente cronaca dell’eterno dramma del dolore, la bestialità della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, la costrizione dell’uomo moderno in una vita innaturale ed opprimente. Come afferma Enrico Crispolti: "La visione metropolitana di Brindisi è quella d'una tragica conflittualità che esaspera la condizione esistenziale individuale nel confronto tra vincitori e vinti, nell'accanimento censorio e oppressivo, nell'insurrezionalità di velleitari ed eversori".

Remo Brindisi è stato anche un personaggio pubblico: va ricordata in particolare la sua presidenza della Triennale di Milano nella difficile edizione del 1973. E' stato poi un appassionato collezionista, grazie anche alla fitta rete di rapporti e di relazioni con gallerie e mercanti e con artisti, italiani ed europei, derivata dalla sua attività di artista. Negli anni, è giunto a costituire una collezione di più di mille opere di artisti suoi contemporanei. Della collezione di Brindisi Luciano Caramel, in un'intervista rilasciata in occasione dell'antologica di Remo Brindisi a Reggio Emilia nel 1985, ha evidenziato tutta l’importanza «per capire la sua personalità: da un lato una poetica omogenea, dall'altro una totale disponibilità verso le più differenti esperienze artistiche».

Per raccogliere questo patrimonio e metterlo a disposizione del pubblico gratuitamente, Remo Brindisi ha costruito, tra il 1968 e il 1973, un museo al Lido di Spina (Comacchio) che è stato anche la sua casa delle vacanze, sempre affollata di famigliari e amici, e il suo studio di artista. Il museo è il frutto della collaborazione con il gramde architetto e designer Nanda Vigo ed è un esperimento museografico davvero innovativo per l'epoca. Si tratta infatti di un vero e proprio manifesto di integrazione delle diverse arti (architettura, pittura, scultura, design, arte cinetica e programmata), di democratizzazione dell'arte e di una vita condotta per l'arte e immersi in essa.

Remo Brindisi è morto il 25 luglio 1996 nel suo museo del Lido di Spina. Per lascito testamentario oggi il museo, con tutta la collezione, è di proprioetà del Comune di Comacchio.

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